Home Storia e cultura Cenni storici
Cenni storici
Le origini del nome Bomba
Il nome del paese di Bomba ha origini affascinanti e diverse ipotesi sono state avanzate nel corso del tempo.
Una delle teorie più accreditate è quella proposta dal dialettologo De Giovanni, secondo cui Bomba deriverebbe dal termine latino Bombus, a sua volta di origine greca (bombos), con significato onomatopeico legato al “ronzio” o al “rombo”. Questa ipotesi si collega a un elemento naturale del territorio: il paese era circondato da tre fossi, oggi coperti, le cui cascate producevano un rumore continuo e profondo, simile a un ronzio, che avrebbe ispirato il nome.
Un’altra interpretazione, riportata dal Dizionario UTET di toponomastica, collega invece il nome Bomba al significato di “acqua” o “bevanda”. In alcune varianti dialettali italiane, come l’umbro (bommo) o il calabrese (mbumba), esistono parole simili che indicano appunto l’acqua. Questo farebbe pensare a un’origine legata alla presenza di sorgenti o corsi d’acqua importanti per la vita della comunità.
Infine, è interessante ricordare che il nome Bomba è stato anche associato a un’espressione della lingua italiana: “torniamo a bomba”, usata per riportare la conversazione al tema principale. Secondo una tradizione, questa frase sarebbe stata resa popolare da Silvio Spaventa, politico e patriota nato proprio a Bomba nel 1822. Durante un discorso parlamentare, interrotto più volte dai suoi colleghi, si racconta che Spaventa abbia esclamato: “Torniamo a Bomba!”, riferendosi al suo paese ma anche all’argomento del dibattito.
In realtà, l’espressione era già presente nel linguaggio medievale e derivava da giochi infantili, in cui la “bomba” era il punto di partenza, ma l’aneddoto resta parte della memoria locale. Le diverse ipotesi sull’origine del nome mostrano quanto sia ricca e stratificata la storia di Bomba, legata al suo paesaggio, alla lingua e alla cultura del territorio.
Cenni storici
Le origini di Bomba non sono del tutto certe. Non si conosce con precisione quale sia stato il primo nucleo abitato, ma si sa che in epoca remota esistevano diversi piccoli insediamenti sorti intorno alle chiese di San Mauro, Casalpiano, San Cataldo, Sant’Antonio, Santa Maria e altre. La posizione del luogo, dominante sulla valle del Sangro, ha probabilmente favorito la nascita e lo sviluppo dell’attuale centro abitato.
La prima menzione ufficiale del nome “Bomba” si trova in alcune pergamene conservate presso la Curia Arcivescovile di Chieti, relative alle tasse ecclesiastiche del XII secolo. Nel 1115, ad esempio, i “clerici de Casali Plano” pagavano tre tareni (una moneta d’oro), San Mauro de Bomba ne versava 7,5 e Santa Maria eiusdem castri tre. Queste testimonianze documentano l’esistenza di una comunità organizzata già in quel periodo, anche se è probabile che l’insediamento risalga a un’epoca ancora più antica. Purtroppo, molti documenti del tempo, conservati in precedenza presso l’Archivio di Stato di Napoli, sono andati perduti durante l’ultima guerra mondiale.
Nel 1269, Carlo I d’Angiò donò Bomba – insieme a Chieti, Lanciano, Atessa, Paglieta e numerosi altri centri della zona – al nobile Ranulfo de Courtenay, come ricompensa per il suo contributo alla conquista del Regno delle Due Sicilie, allora sottratto agli Svevi. Negli anni successivi, lo scenario politico fu influenzato dalle guerre del Vespro: nel 1282, Pietro III d’Aragona, genero di Manfredi, alimentò la ribellione in Sicilia, sconfisse gli Angioini nella battaglia navale di Napoli e fu incoronato re a Palermo. Da quel momento nacquero due regni distinti: la Sicilia, sotto gli Aragonesi, e Napoli, sotto gli Angioini. Le contese tra le due casate continuarono per decenni, fino a quando, nel 1442, Alfonso I d’Aragona unificò i due regni.
Tra i primi provvedimenti del nuovo re vi fu l’introduzione del “focatico”, un’imposta che ogni famiglia doveva pagare. Per calcolarla, fu necessario censire la popolazione. A Bomba furono registrati 79 fuochi, pari a circa 400 abitanti. Intorno al 1500 i fuochi salirono a 121 (circa 600 persone).
In quel periodo, il feudo era detenuto da Giovanni Maria Annecchino, che parteggiò per il re francese Luigi XII nella guerra contro Ferdinando il Cattolico, re di Spagna. Per questa sua scelta politica, Annecchino fu privato del possesso del “castello di mezza Bomba”, che fu assegnato al capitano spagnolo don Diego Sarmiento.
Nel 1505, la pace tra Luigi XII e Ferdinando il Cattolico stabilì il reintegro nei loro beni dei feudatari napoletani che avevano appoggiato i francesi. Tuttavia, l’accordo non fu mai applicato pienamente: i nuovi proprietari, già ricompensati con i feudi, non erano disposti a rinunciarvi senza ottenere vantaggi in cambio, e Luigi XII non aveva più la forza per imporre l’esecuzione dell’accordo.
Fu solo con Carlo V, successore di Ferdinando, che si adottò un criterio definitivo: furono graziati i feudatari che avevano sostenuto i francesi all’interno dei propri territori, mentre furono puniti coloro che si erano posti a capo di milizie al di fuori dei propri feudi. Giovanni Maria Annecchino rientrava in quest’ultima categoria e, nel 1534, perse anche l’altra metà del feudo di Bomba, che fu assegnato a Giovanni Genovoyx, signore di Chalem, e ai suoi eredi.
Nei decenni successivi il feudo cambiò più volte proprietario: passò a Giovan Battista Marino, che lo lasciò in eredità al figlio Vincenzo nel 1631. Quando Vincenzo morì senza eredi nel 1674, una parte del feudo tornò al regio demanio, mentre un’altra fu assegnata ai Domenicani della Minerva di Roma.
Successivamente, il feudo fu acquistato dal cardinale Carlo Pio di Savoia, che, essendo ecclesiastico, lo intestò formalmente a Giuseppe Caravita, suo fiduciario. Alla morte di Caravita, il feudo passò al figlio Nicola Caravita. Dopo la morte del cardinale, il feudo fu rimesso in vendita e fu acquistato, nel 1699, dal marchese Tommaso Adimari. In questo periodo, la popolazione si era ridotta a 61 fuochi, cioè circa 300 abitanti, la metà rispetto a due secoli prima. Gli Adimari mantennero il feudo fino alla fine del sistema feudale.
Nel 1806, con l’abolizione della feudalità da parte del governo napoleonico, Bomba cessò di essere un feudo e divenne un comune autonomo. Da questo momento ebbe inizio un percorso amministrativo e sociale indipendente: vennero ripartite e assegnate le terre coltivate, e furono avviati lavori pubblici come la costruzione di edifici, strade e acquedotti, contribuendo a dare al paese l’aspetto che in parte conserva ancora oggi.
Nel corso dell’Ottocento, Bomba fu teatro di una vivace partecipazione alla vita politica nazionale. Nel 1866, il paese elesse quattro deputati al Parlamento del Regno d’Italia. In ambito culturale e intellettuale, Bomba diede i natali a due importanti figure del Risorgimento italiano: i fratelli Bertrando e Silvio Spaventa, nati rispettivamente nel 1817 e nel 1822. I due erano imparentati con la famiglia Croce di Montenerodomo. Silvio Spaventa, in particolare, si distinse per l’impegno nella causa nazionale e per il contributo dato alla questione meridionale. A lui è attribuita anche la famosa espressione “ritorniamo a bomba”, usata per riprendere il filo di un discorso.
Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, furono realizzate alcune importanti opere pubbliche: nel 1908 fu installata l’illuminazione elettrica, seguita dalla costruzione degli acquedotti per l’impianto idrico.
Durante i primi anni della Seconda guerra mondiale (1940–1943), Bomba fu scelto dalle autorità fasciste come luogo di internamento civile per profughi ebrei stranieri. Ne furono ospitati 18, uno dei gruppi più numerosi della provincia di Chieti. Dopo l’8 settembre 1943, tutti riuscirono a evitare la deportazione nascondendosi o fuggendo verso le zone già liberate dell’Italia meridionale, nonostante la presenza di truppe tedesche nella zona.
Durante il passaggio del fronte, Bomba subì alcune perdite e danni, tra cui la distruzione della chiesa di San Mauro, ma fu risparmiata dai bombardamenti più gravi, poiché la “Linea Gustav” era posizionata più a ovest, lungo il fiume Aventino.
Nel 1957, il corso del fiume Sangro fu deviato per creare un lago artificiale situato sotto il paese. Inizialmente utilizzato come bacino idroelettrico, il lago è divenuto nel tempo anche un’importante attrazione turistica.
Negli anni Sessanta, come accadde in molti altri paesi dell’entroterra abruzzese, Bomba fu interessata da un forte fenomeno di emigrazione. Il calo demografico si arrestò solo alcuni anni dopo, grazie alla costruzione della strada statale 652 di Fondo Valle Sangro, che migliorò i collegamenti con la valle e con i centri industriali come il polo Honda-Sevel di Atessa.
Tuttavia, la realizzazione del tratto stradale che attraversava Bomba fu complessa. Nel 1973 si verificò un grave dissesto idrogeologico nella zona di Colledimezzo, con il crollo di una parte del tracciato. Inoltre, un altro tratto nei pressi di Valle Cupa rimase incompiuto per problemi legati alla stabilità del terreno, e ancora oggi è visibile.
Dagli anni Novanta in poi, l’economia del paese – in precedenza prevalentemente agricola – si è progressivamente orientata verso il settore terziario e turistico. Sono stati valorizzati i monumenti del centro storico, le figure di Bertrando e Silvio Spaventa e le potenzialità del lago. Sono state realizzate nuove strutture come la Casa Albergo per anziani, l’Antiquarium (oggi chiuso), il Museo Etnografico e impianti dedicati al tempo libero e al turismo naturalistico.
Bibliografia
Quanto esposto in questa pagina è estratto dal libro-guida turistica “Bomba e dintorni – Itinerari storico-naturalistici in provincia di Chieti” di Giuseppe Caniglia, Marilena Pagliarone, Teresa Martorella (Marino Solfanelli Editore).
























